Sembra impensabile ipotizzare il Tour de France di quattro mesi, eppure l’organizzazione ASO, l’associazione ciclistica UCI e le squadre, stanno seriamente valutando il piano.
Per molti pericoloso, per altri un segno di speranza per salvare il ciclismo. Certo è che correre il Tour de France non è nulla in confronto alla salute pubblica; ma il preambolo non basta per sciogliere il dilemma. Vista la situazione generale, non sarebbe una sorpresa inaspettata se si decidesse di non pedalare quest’anno.
La domanda scontata a questo punto è: se un Tour ci sarà, che aspetto avrà?
È bene partire dai “contorni”, quindi dal pubblico, dato che per tutto il 2020 sarà vietato l’accesso alle gare, anche nelle zone di montagna. Triste se pensiamo che , secondo i calcoli dell’ ASO, ci sono circa 10-12 milioni di persone che orbitano intorno al Tour solitamente. Non parliamo solo di pubblico, ma anche dei team che affiancano i 176 ciclisti in gara; 4.500 addetti tra team leader, guardiani, meccanici, chef, giornalisti e medici che avranno bisogno di più stazio per garantire il distanziamento sociale.
Troppe domande in stand by:
Un metro e mezzo di distanza anche per i ciclisti?
(Improponibile e fuori discussione che possano rispettare questa restrizione durante la corsa).
Cosa si farà se un ciclista risulterà positivo al contagio?
(Ogni possibile protocollo comporterebbe lo stop immediato dell’intera competizione).
I giornalisti e le telecamere potranno circondare il vincitore dopo il traguardo?
(In caso di risposta negativa, immaginiamo la felicità degli sponsor).
I ciclisti potranno accettare una bottiglia d’acqua durante il percorso?
Con quest’ultima domanda, che rappresenta un po’ l’immagine simbolo di questo sport, potremmo affermare che, se il Tour de France verrà confermato per la fine di agosto, sarà “limitato” e bisognerà accettare i nuovi scenari del ciclismo per quest’anno.