Se Pallotta ha lasciato sfiorire la trattativa con il texano Dan Friedkin, è stato per due motivi: il primo è il rammarico di lasciare da sconfitto una Roma che gli ha regalato quella vetrina mediatica che non aveva mai avuto in decenni di hedge fund, accreditandolo nel calcio europeo e permettendogli di cenare con Sir Alex Ferguson o prendere un caffè con Pep Guardiola. Il secondo è la convinzione di chiudere un’operazione migliore rispetto all’ultima offerta del Friedkin Group: dei 490 milioni proposti, lui e i suoi soci ne avrebbero incassati “solo” 220, al netto dei 270 milioni a copertura del debito.
Inevitabile allora per Pallotta guardarsi intorno. Così, tramite alcuni mediatori, Mr. Jim ha incrociato la strada di Joseph DaGrosa, ex proprietario del Bordeaux che comprò per 114 milioni nel 2018 insieme alla società King Street, di cui a dicembre ha poi ceduto le quote.
Oggi è in cerca di un affare: ha guardato alla Premier, ma flirta soprattutto con Pallotta, con cui ha già qualcosa in comune; anche DaGrosa gestisce un fondo di private equity, il General American Capital Partners di Miami, città in cui Pallotta trascorre molte delle sue vacanze. In più anche lui ha (lontane) origini italiane: in Basilicata il suo cognome è moderatamente diffuso.
DaGrosa ha anche un progetto: creare un network di società sul modello del City Football Group (la holding che controlla Manchester City e New York City, fra le altre), magari attraverso una piattaforma unica da realizzare insieme a Pallotta in cui far confluire il controllo di varie società. Facendo ruotare giovani da rivendere a prezzi più alti.